Cutro, i migranti traditi anche sulla spiaggia. “Mio fratello di 6 anni è morto di freddo”
Si apre un nuovo fronte nell’inchiesta. Nel mirio dei legali la tempestività dei soccorsi via terra, la Guardia Costiera ancora sotto accusa
Nell'intricata - e drammatica - vicenda del naufragio di Steccato di Cutro costato la vita finora a 86 migranti, c'è un fronte che si aggiunge a quello già aperto dalla procura di Crotone in relazione ai soccorsi in mare. Lo apre, sulle manovre di aiuto a terra, la morte di un bambino di 6 anni, deceduto - a quanto riferiscono i legali che assistono i familiari delle vittime - per ipotermia e non per annegamento tra le braccia del fratello Assad, 22enne, che tentava invano di raggiungere la costa tra le onde alte cercando di non farlo affogare.
Il legale Francesco Verri, avvocato del pool che sta assistendo alcuni familiari delle vittime di Steccato a integrazione di un'articolata ricostruzione della memoria difensiva consegnata ai pm di Crotone pochi giorni fa, parte da una «preziosa» intervista fatta a una sopravvissuto – Assad – da una giornalista di un emittente televisiva nazionale: «Il testimone – riporta il legale – racconta del naufragio e del disperato tentativo di salvare la vita al suo fratellino di 6 anni. Dice che lo ha tenuto a galla a lungo in acqua. Non riusciva a raggiungere la riva per via delle onde alte (il mare era forza 4, ma a riva il moto ondoso si moltiplica) e a un certo punto gli è morto in braccio. Di freddo»
Perché se da un lato va ancora compreso esattamente il motivo per cui la Guardia Costiera, pur allertata ore prima da Frontex (primo avviso alle 23,03 della notte tra il 25 e il 26 febbraio, cinque ore prima della tragedia) sull'esistenza di una imbarcazione a 38 miglia dalle coste italiane, non abbandonò mai con i suoi asset navali i porti di Roccella e Vibo, va altrettanto approfondito il tema di come sia stata gestita la fase – in termini di aiuto – post affondamento.
A questo punto si pone il tema di evidente rilevanza della «tempestività dei soccorsi» spiega Verri.
Quel bambino sarebbe morto per sopravvenuta ipotermia se per i soccorsi da terra vi fosse stato un dispiegamento di forze più veloce di quello che si è realmente messo in moto in quei minuti? E quante altre persone avrebbero potuto essere strappate alla morte? L'interrogativo vale anche per il piccolo di tre anni portato a riva da un pescatore che lo racconta, pur privo di vita, ma ancora con gli occhi aperti?
Il lavoro dei volontari e dei carabinieri arrivati per primi sulla spiaggia è stato encomiabile, ma se fossero stati avvertiti prima?
Dagli stralci della relazione dei militari dell'Arma di Crotone (a tratti drammatici e contenuti nel decreto di convalida del gip sui tre presunti scafisti maggiorenni arrestati), arrivati sulla spiaggia per primi alle 4,30 si evince come due carabinieri – eroici - abbiano affrontati da soli, a mani nude, una tragedia immane. «Emerge – dice il legale – che si sono lanciati in acqua per cercare di salvare alcuni naufraghi, in parte riuscendoci e facendo tutto ciò che era nelle loro possibilità. Ma dalla relazione firmata dalla Guardia Costiera si ricava come il loro personale di terra sia arrivato sul luogo della tragedia alle 5,35. Senza voler puntare il dito contro nessuno, ma al solo fine di accertare la doverosa verità per i familiari delle vittime affinché questi morti abbiano giustizia, va approfondito questo punto: perché, in prima battuta, non si può morire in mare quando c'erano, a nostro avviso, le condizioni per salvare altre vite, ma non si può nemmeno pensare che alcuni bambini siano morti sulla spiaggia per eventuali intempestivi soccorsi a terra».
Il fronte aperto dal legale calabrese promette nuovi sviluppi nell'inchiesta dei magistrati. Come altrettanto foriero di rilevanza potrebbe essere il "precedente" citato nella memoria consegnata in procura e ora ufficialmente agli atti dell'inchiesta. «Il 9 settembre 2020 la Guardia Costiera e la Guardia di Finanza, a bordo dei propri mezzi, intercettano a largo delle coste crotonesi una barca a vela, in balìa del mare molto mosso, che poi si scoprirà avere a bordo 97 persone di cui 30 donne. Le vanno incontro, la "agganciano" e la conducono in salvo nel porto di Le Castella. Era settembre, c'era un clima torrido, il mare era forza 5, le onde più alte di quelle registrate la sera del naufragio di Steccato quando i migranti sono affogati in un'acqua gelida con un mare forza 4. Perché il 9 settembre si esce per salvare queste vite senza nessuna distinzione o sovrapposizione di Law Enforcement (missione di polizia) e Sar (missione di soccorso) e il 26 febbraio le navi rimangono attraccate nel porto? La memoria consegnata ai pm accende una luce anche su due segnalazioni di mayday: la prima ricevuta il 24 febbraio alle 20,51 dalla capitaneria di porto di Roccella Jonica, la seconda – del 25 febbraio alle 4,57 – diramata dalla centrale della Guardia Costiera di Roma con un messaggio di imbarcazione in distress (pericolo) per la quale fu aperta una missione di soccorso catalogata come evento "Sar 384". Era la Summer Love o no?
Pubblicato su La Tribuna Di Treviso